Mi sono imbattuto nell’intervista di un agronomo bagherese, Vincenzo Lo Meo, che invitava la politica siciliana ad investire nell’utilizzo delle acque trattate dal depuratore della città per ridurre la sofferenza irrigua di agrumeti e, in generale, degli agricoltori.
La situazione degli agrumeti e degli agricoltori nella Conca d’Oro è veramente drammatica. Dopo anni in cui l’irrigazione avveniva per il tramite del consorzio di bonifica e la preesistente rete di distribuzione è andata letteralmente in malora, si è deciso per carenza idrica di chiudere i rubinetti all’agricoltura per garantire gli usi civili della poca acqua che rimaneva negli invasi. Strutture che sono a capienza ridotta per problemi burocratici e per la mancata manutenzione.
Una catastrofe di proporzioni bibliche in cui veramente pochi agricoltori e con spese enormi, stanno cercando almeno di salvare gli impianti agricoli. Il resto sta lentamente seccando in attesa che all’arrivo dello scirocco possa prendere tutto a fuoco.
In questo scenario di siccità e con la mancata programmazione delle risorse economiche da destinare agli invasi negli ultimi 30 anni, si parla oggi di recuperare le acque reflue e di utilizzarle in agricoltura e in settori diversi dalle attività umane.
Le quantità di acqua reflue che giungono ai depuratori è veramente molto elevata e il suo riutilizzo creerebbe un circolo virtuoso di notevole impatto sociale. Proprio per questo, però, è necessario comprendere bene tutte le diverse facce che può avere la medaglia. La prima è stabilire la qualità di queste acque e se sono effettivamente utilizzabili in agricoltura o in altri ambiti. E’ compito del gestore dell’impianto di depurazione mettere in atto tutti gli accorgimenti tecnici per garantire la sicurezza e il rispetto dei parametri di legge che, peraltro, sono molto severe.
Quali sono, comunque, le problematiche da tenere sotto controllo per l’utilizzo delle acque trattate?
Iniziamo con il suddividere la parte relativa alle caratteristiche chimiche e fisiche dell’acqua e i problemi relativi alla salubrità della stessa. Per la parte chimica e fisica dobbiamo sicuramente discutere di sostanza organica presente, della salinità e della presenza di sodio, della durezza, della presenza di metalli pesanti, della conducibilità elettrica e di altri parametri importanti ai fini agricoli.
Per la salubrità dobbiamo verificare la presenza di batteri e microorganismi che possono essere pericolosi per l’uomo e che sono naturalmente presenti nelle acque reflue urbane. Per questo aspetto è molto importante l’uso che se ne fa dell’acqua per stabilire se è possibile utilizzarla. Facciamo un esempio banale che rende bene l’idea.
Supponiamo che chimicamente l’acqua trattata sia idonea ai fini agricoli, ma presenta elevate quantità di batteri potenzialmente pericolosi. In questo caso possiamo utilizzare l’acqua per irrigare gli alberi da frutta o nelle serre florovivaistiche oppure utilizzarla nei giardini pubblici quando questi sono chiusi al pubblico, ma certamente non possiamo utilizzarla per irrigare la verdura che verrà mangiata cruda. Inoltre importante anche valutare l’impianto di irrigazione che deve impedire all’agricoltore di entrare in contatto con l’acqua. Quindi andrebbe utilizzato un impianto a goccia o ad Ala interrata oppure con piccoli ugelli di diffusione. Non è utilizzabile la tecnica per aspersione.
Fatto questo esempio banale, però, la realtà rimane ben diversa. Non sempre l’acqua di trattamento è idonea all’uso irriguo perché presenta alti valori di salinità che nel lungo periodo possono ridurre drasticamente la fertilità del suolo.
Non voglio in questa sede entrare nel merito degli effetti che i vari sali e ioni presenti nelle acque reflue hanno nel suolo e che dipende dalla tessitura e dalla struttura, inoltre è possibile utilizzare degli accorgimenti che possono limitare il danno.
Certamente sono aspetti da valutare attentamente e con criterio perché sia nel breve periodo che nel lungo periodo possono avere conseguenze gravi sul raccolto e sulla fertilità del suono.
Un discorso a parte meritano i possibili metalli pesanti e la promessa che l’uso di acque reflue riduca del 30% l’uso di concimi. I metalli pesanti in genere non dovrebbero essere presenti nelle acque reflue delle sole abitazione civili. Però non si può escludere che ci siano degli scarichi che possano introdurre nelle acque reflue i metalli pesanti. Questi elementi sono estremamente nocivi per la maggior parte delle piante anche in piccola quantità e, dunque, per i fini irrigui l’ente gestore dell’impianto deve garantire la riduzione della quantità di questi metalli e questo non sempre è possibile con pochi investimenti. Sulla considerazione che le piante possano trovare giovamento per la presenza di azoto e fosforo disciolti nelle acque reflue possiamo dire che se da un lato è una un’affermazione vera, dall’altro questo potrebbe creare seri problemi di inquinamento di falde sotterranee, soprattutto per i nitrati.
Sono gli stessi problemi che si avrebbero quando si utilizzano i concimi di sintesi in alte quantità.
Chiuso l’aspetto della qualità e della salubrità delle acque trattate dal depuratore che richiedono enormi spese per gli impianti e la sicurezza, rimane aperta la discussione sull’impiantistica di distribuzione agli agricoltori.
Supponendo che l’ente gestore abbia fatto tutti gli investimenti e si prende cura di mantenere entro i limiti di legge la qualità dell’acqua trattata rimane il collegamento tra le vasche di raccolta e l’appezzamento di terra servito che deve ricevere l’acqua. Le opere di posa dei tubi, l’allaccio con i sistemi presenti e gli obblighi, in alcuni casi, di impianti di irrigazione a goccia o con piccoli di spessori, potrebbero avere costi tanto elevati da rendere antieconomico l’investimento.
Solo la perdurante siccità in Sicilia potrebbe spingere la politica ad investire in questa direzione e recuperare risorse idriche comunque importanti nei numeri e che andrebbero perse. Guardando ai dati del distretto di Ragusa abbiamo per il solo comune di Ragusa acque reflue per sei milioni di metri cubi l’anno è poco più di 3 milioni di metri cubi l’anno a Vittoria e Comiso. Nel piccolo paese di San Michele di Ganzaria si è creato un impianto di depurazione con letti di fitodepurazione e serbatoi di affinamento e regolazione. Il sistema di depurazione delle acque reflue permette di rendere disponibili un volume annuo di 300.000 metri cubi che possono irrigare circa 150 ettari di colture Arboree. Un piccolo caso studio che promette bene. Discutere di recuperare risorse idriche dagli impianti di depurazione per destinare ad uso agricolo e ad uso secondario per l’uomo necessita di un notevole investimento in capitali, di un costo di servizio necessario a garantire la qualità e la salubrità dell’acqua e tempi di realizzazione molto lunghi. Una strada percorribile solo se integrata in piani di intervento diversificati e di lungo periodo. Le nuove tecnologie e la diversa sensibilità sulla crisi idrica potrebbe integrare il recupero delle acque reflue dando un peso diverso a questa risorsa che potrebbe diventare circolare.
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