L’uomo nell’ultimo secolo ha profondamente cambiato il suolo per le sue attività agricole e per le infrastrutture. Il suolo che permette la coltivazione e la vita dell’uomo non è molto esteso se si considerano i suoli inospitali e mediamente è profondo meno di un metro. Lo sfruttamento del suolo per il sostentamento di un miliardo di persone che vivono nei paesi più industrializzati con un consumismo eccessivo, sommato agli altri sei miliardi che comunque devono nutrirsi, crea inevitabilmente un consumo del suolo notevole.

L’uomo sfrutta il suolo per ricavarne risorse naturali, lo modifica con macchinari sempre più potenti per migliorare la produttività agricola, ne sottrae ampi spazi per la costruzione di infrastrutture e spazi urbani, lo utilizza per stoccare i suoi rifiuti.

Tolta la parte di suolo utilizzata per la creazione di spazi urbani e per le infrastrutture, quello che rimane del suolo viene modificato dall’uomo portando il suo stato al tempo zero (t=0), cioè quello iniziale di formazione chiamato entisolizzazione e riducendo quella pedodiversità che ha contraddistinto la formazione dei suoli nel tempo.

La mano pesante dell’uomo e delle sue attività agricole è un nuovo elemento da tenere in considerazione nello studio dell’evoluzione del suolo, aggiungendolo ai fenomeni di alterazione chimica e fisica che nel tempo lo modificano.

Cosi possiamo parlare di suoli “anthropogenici” oppure “technogenici” per distinguerli da quelli che si sono sviluppati per l’alterazione della roccia nel tempo a causa di fattori biotici e abiotici .

Allo stesso modo possiamo parlare dei suoli lavorati e che hanno quindi perso l’aspetto originale come “masse terrose” per distinguerli da quelli che presentano ancora le caratteristiche derivanti dalla pedogenesi.

Visto l’aumento costante ed esponenziale della tecnologia nelle attività umane e la scarsità dei suoli utilizzabili è ovvia la necessità di prendere maggiore coscienza del suolo e salvaguardare la pedodiversità per un futuro più sostenibile.

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Di Treman

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