La leggenda triste del gelso nero, nato da un amore infelice, il frutto estivo che conquista i palati e l’albero che si piantava accanto ai pozzi e alle “pile di pietra” per fornire ombra. Non esiste un albero più paziente e saggio del Gelso.
Plinio il vecchio lo definisce “sapientissima arborum”, il più saggio degli alberi perchè con pazienza attende che siano scongiurate anche le gelate più tardive per emettere il fogliame. Il Gelso è l’ultima caducifoglia a vegetare, per i Greci era una pianta consacrata al dio Pan, ricca di simbologia, intelligenza e passione.
E’ sotto un albero di Gelso che si consumò il dramma d’amore di Tisbe e Piramo, raccontata come una leggenda da Ovidio nel libro quarto delle sue “Metamorfosi”. Così racconta Ovidio : Tisbe e Piramo erano vissuti da buoni amici fin dall’infanzia , abitavano in case limitrofe , i loro giardini erano separati da un muro . Divenuti più grandi si accorsero che tra loro era sbocciato l’amore che i loro genitori ostacolavano . Un giorno decisero di fuggire insieme . Si diedero appuntamento in prossimità di un pozzo accanto al quale cresceva un albero di gelso bianco. Tisbe arrivò per prima e venne spaventata da un leone , fuggì e nella corsa abbandonò il velo che si macchiò di sangue degli animali che il leone stava sbranando .
Quando Piramo giunse non trovò Tisbe, ma vide il suo velo insanguinato e, pensando che la sua amata fosse stata sbranata dal leone , rivolse la sua spada contro di sé e Tisbe che nel frattempo era tornata indietro ,lo trovò morente . Raccolse il suo ultimo respiro e si uccise a sua volta .Il sangue schizzò sui frutti e penetrò nel terreno, sotto le radici . Tisbe , prima di morire, chiese agli dei che i frutti di quell’albero, sotto cui lei e Piramo morivano, desse per sempre frutti rossi in ricordo della loro morte violenta.
Da quel giorno le bacche, colorate dal sangue degli amanti sono divenute rosse per la pietà degli Dei. Romani e Greci apprezzarono sulle loro tavole il rosso frutto composto che chiamarono “morus” e Morus celsa (cioè Moro alto) chiamarono la pianta che lo produce, un appellativo che lo distingue dalle more di rovo che è un cespuglio .
Il Sicilia il termine “ celsa” divenne così “ cevusa” il nome con cui i Siciliani chiamano i gelsi , aggiungendo “ janca e nivura” a seconda del colore . Fu Ruggero il Conquistatore, primo re di Sicilia, che dotò la sua patria del gelso bianco, e la coltura si diffuse poi dalla Sicilia in Italia e in Lombardia …”Però i gelsi incontravano serie difficoltà ad attecchire e “ non è a far meraviglia, se l’antico gelseto del principe Cattolica, che occupava gran parte della sua proprietà sita rimpetto la Villa Giulia, si sia sacrificato completamente ai limoni… Ugual sorte toccò ancora al gelseto del defunto principe di Pietrulla, da lui istituito con tanta passione in Perpignano, quando, reduce dalla scuola agraria di Hofwyl, vagheggiava di convertire quella fertile pianura in campo sperimentale…” Fortunatamente un giorno però…“Sulla soglia del palazzo di pietra color del burro, sotto lo sguardo celestiale di Yasmina, Ruggero conte di Sicilia assaggiò la scura granita di gelso nero macchiata dal bianco sorbetto di mandorla”… e la granita di gelsi si diffuse in Sicilia e viene ancora gustata dai Siciliani e dai turisti nel periodo estivo , a partire dal mese di Giugno.
( Archivio Francesca La Grutta )