Niscemi nel tempo è diventato il territorio del carciofo violetto. Una varietà locale che è, però, troppo delicato per essere venduto e distribuito nella grande distribuzione perchè deperisce velocemente pur conservando tutte le proprietà organolettiche. Questa sua caratteristica lo rende economicamente inferiore ai suoi rivali che resistono meglio anche se non sono cosi buoni.
Allora molti agricoltori hanno cambiano produzione ed utilizzano dei carciofi che non sono più locali, ma importati da altre zone, pur di rimanere sul mercato è spuntare un guadagno altrimenti irrisorio. Ecco da dove nasce la necessità di tutelare il carciofo violetto di Niscemi che, altrimenti, sarà destinato ad un mercato di nicchia e presto sostituito nei campi.
Il presidio Slow Food ha deciso di inserirlo tra i suoi prodotti da tutelare e dare modo alle persone di conoscerlo.
«Il nostrale è un carciofo che non ha avuto la fortuna commerciale degli altri, semplicemente perché è delicato – prosegue Vacirca –. Quando viene raccolto dev’essere consumato entro due o tre giorni, altrimenti il suo aspetto tende a guastarsi». Di sapore rimane buonissimo, assicura la fiduciaria della Condotta Slow Food, ma diventa meno vigoroso e turgido, pagando quindi lo scotto di una concorrenza che spesso passa anche dall’apparenza. «È come un fiore che, una volta raccolto, appassisce nel giro di qualche giorno. Insomma, patisce questo problema estetico di conservazione, ma che non influisce sulle qualità organolettiche». Così, complice l’avanzata di varietà più resistenti, il nostrale è andato quasi perduto.
Eppure un tempo le cose (commercialmente parlando) erano diverse: «Un secolo fa i carciofi di Niscemi, quelli originali, venivano venduti addirittura ai mercati generali di Roma» spiega Vacirca. I carciofi viaggiavano in treno da Caltagirone, una ventina di chilometri più a nord di Niscemi, dopo essere stati trasportati a dorso di mulo o nei carretti dai campi dove venivano coltivati.
Ritornare tra i campi e coltivare questa varietà di carciofo è possibile. Oggi i mercati sono maturi per ricevere nuovamente delle eccellenze e gustarne le proprietà. L’intento è aumentare i campi coltivati e introdurre i giovani a questa coltivazione per un ritorno alla terra di origine. Tutto questo è possibile oggi, più di ieri.
Coltivare carciofi e primizie di altre varietà come pomodori e peperoni potrebbe invertire la tendenza e far ritornare o dare un futuro economicamente rilevante ai giovani. Un ritorno alla terra che rallenterebbe il declino dei borghi e dei paesi dell’entroterra siciliano che si sono spopolati negli ultimi 50 anni.
Caratteristiche del carciofo nostrale di Niscemi
Il carciofo di Niscemi, anticamente soprannominato vagghiàrdu (“gagliardo” in dialetto) per l’aspetto vigoroso della pianta, non presenta spine; i capolini hanno la forma di un calice, le brattee, cioè le “foglie”, sono di colore verde chiaro con sfumature violette. Il cuore del carciofo è compatto, dal sapore delicato e dolce, e la presenza di pappo o “barba” è scarsa, motivo per il quale gli scarti sono molto ridotti.
In cucina si può consumare crudo, in insalata, oppure bollito e poi intinto in un condimento di olio extravergine d’oliva, aceto e peperoncino, o ancora in risotti, ad esempio abbinato alla menta. La ricetta tradizionale, però, prevede di consumare i carciofi arrostiti: cotti sulla brace e poi conditi con olio e sale, eventualmente con l’aggiunta di pepe, aglio e prezzemolo. Una tradizione tramandata da decenni: i contadini erano soliti mangiare i carciofi arrostiti nei campi, cuocendoli sul carbone prodotto dai piccoli fuochi accesi per riscaldarsi nelle fredde mattine di lavoro. Diffusa, infine, la tradizione della ‘a carciofina, la tipica conserva siciliana ottenuta dai cuori dei piccoli carciofi di marzo e aprile, i più tardivi.
Ad Aprile nel Comune di Niscemi organizzano una Sagra del Carciofo
Tratto da Slow food Italia che ringraziamo. Foto di copertina: Archivio Slow Food